giovedì 16 ottobre 2014

Mercoledì 17 settembre si è tenuto, nella Sezione di Firenze, l’Ufficio del Dibattito, con tema: “La nuova crisi del Medio Oriente e il ruolo che l’Europa può avere nel promuoverne il superamento”. La discussione ha fatto seguito ad una relazione, portata da Emanuele Giusti. Segue riassunto dell'evento:

Nel corso del dibattito si è messa in luce la natura duplice della crisi mediorientale in corso. Da una parte la comparsa dello Stato Islamico (meglio noto come Isis) e gli obiettivi strategici che sembra essersi dato rappresentano una sfida esplicita all’ordine geopolitico imposto alla regione dalle potenze imperiali britannica e francese con gli accordi Sykes-Picot (1916); in particolare, la formazione guidata dall’autoproclamatosi califfo Abu Bakr al-Baghdadi sembra eversiva delle logiche politiche e diplomatiche entro cui i vari ed eterogenei eredi dell’Impero Ottomano, insieme all’Iran, si sono trovati ad operare sotto quell’ordine artificioso di stati-nazione mancanti e per lo più mancati. Dall’altra, se è vero che lo Stato Islamico ha potuto prosperare e rendersi autonomo solo nel caos generato in Siria, principalmente, dalla pessima gestione delle proteste popolari del 2011 da parte del regime alawita di Bashar al-Assad, e in Iraq dal settarismo elevato a sistema dal premier sciita Nouri al-Maliki – nonché in generale nel clima di profondo abbrutimento politico in cui il Medio Oriente è stato posto dalle scelte più sconsiderate della politica estera statunitense relativa all’area – esso è anche il frutto dello scontro regionale, in atto fin dal 1979, tra l’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica d’Iran.

Lungi dall’essere riassumibile e spiegabile come espressione della rivalità tra musulmani sunniti e sciiti (di cui rispettivamente Riyad e Teheran si propongono o sono percepite come rappresentanti), né come più recente sintomo del dissidio tra le componenti araba e persiana dell’Islam che si è diffuso e stabilito in Asia occidentale, tale scontro ha una dimensione geopolitica fondamentale: in sostanza, sauditi e iraniani si contendono, con il controllo del Golfo, l’egemonia sull’intera area. In questo senso, la mezzaluna (sciita) di influenza che la diplomazia di Teheran, negli ultimi anni, ha saputo estendere dal basso Libano di Hezbollah alla Baghdad sciita di al-Maliki, passando per Damasco, rappresentava e continua a rappresentare una grave minaccia per l’Arabia Saudita, che almeno in un primo momento sembra aver sostenuto gli estremisti sunniti di al-Baghdadi, prevalentemente in chiave anti-Assad. Di contro, non si fa mistero della presenza, almeno in territorio iracheno, di reparti delle Guardie rivoluzionarie iraniane impegnate, insieme ai loro alti ufficiali, nei combattimenti contro le milizie del califfato.

Nella misura in cui l’Iran appare un attore di primaria importanza nella risoluzione della crisi mediorientale, si pone il problema dei rapporti diplomatici tra Teheran e le cancellerie occidentali, in particolare gli Stati Uniti, ovvero delle relazioni privilegiate che queste intrattengono con paesi – Arabia Saudita e Israele – da cui l’Iran è considerato una grave minaccia e della questione da cui tali rapporti al momento sembrano dipendere principalmente: quella del nucleare iraniano. Le volontà
contrapposte di impedire a Teheran di arricchire l’uranio al punto di dotarsi, più o meno rapidamente, di un arsenale nucleare, e quella di emancipare il paese dalla pericolosa dipendenza energetica dai pur abbondantissimi idrocarburi, sembrano tuttora in grado di rallentare o addirittura compromettere l’elaborazione di una soluzione soddisfacente per tutti i partner coinvolti in una crisi diplomatica che, col corollario di pesanti sanzioni che ha comportato, contribuisce non poco a destabilizzare l’Iran anche e soprattutto sul piano della politica interna, vitale perché il paese possa assumersi le sue responsabilità di potenza regionale in un contesto di ritrovata credibilità internazionale.

Oltre a mettere in maggiore evidenza la dialettica geopolitica Iran-Arabia Saudita e gli effetti collaterali che essa ha sui rapporti tra i paesi occidentali e Teheran, lo Stato Islamico ha dato nuovo spazio alla questione curda, in quanto gran parte delle formazioni politiche e militari curde dell’area, distribuite in Iran, Iraq, Siria e Turchia, hanno contribuito in misura diversa ma assai spesso decisiva a rallentare o bloccare l’avanzata dello Stato Islamico verso Baghdad e verso il confine turco. Purtroppo, è chiaro che non tutti i governi degli stati appena nominati possono essere facilmente indotti a rimettere in discussione le proprie posizioni su tale questione: se per la stessa Baghdad la regione irachena a maggioranza curda, già largamente autonoma, resta d’importanza vitale per la sopravvivenza del paese, la vita politica turca e iraniana non potrebbe che venire pericolosamente destabilizzata se l’opzione della costruzione di uno stato nazionale curdo indipendente acquisisse consistenza.

Osservando la crisi nelle varie prospettive emerse dalla relazione e dal successivo dibattito, una prima conclusione è che essa non può essere risolta se non attraverso il raggiungimento di un nuovo equilibrio geopolitico del Medio Oriente, che si fondi senz’altro sul riconoscimento della necessità di un dialogo paritario e permanente tra i quattro maggiori attori regionali: Iran, Turchia, Israele e Arabia Saudita. Se, poi, questo equilibrio non dovesse risultare accessibile senza passare per una riforma radicale delle carte geografiche, non dovrebbero essere considerate del tutto fantascientifiche né l’opzione di un nuovo stato arabo sunnita che, auspicabilmente, prenda il posto del califfato di al-Baghdadi, né, soprattutto, quella di uno stato curdo indipendente. Simili operazioni implicano l’intervento diretto, o quantomeno il sostegno sostanziale, di paesi occidentali che siano in grado e insieme abbiano la volontà politica di dispiegare la forza politica e diplomatica necessarie allo sviluppo di una soluzione per la quale, probabilmente, non sarà possibile fare a meno di tenere in considerazione l’opinione del Cremlino, vista in occasione della crisi siriana del 2013 la capacità che esso ha di influenzare il corso degli eventi in Medio Oriente.

Al momento, Washington da sola non è in grado di assumersi tale compito: la comprensibile reticenza a schierare nuovamente in Medio Oriente quelle fanterie che soltanto potrebbero stroncare
lo Stato Islamico e la relativa indefinitezza delle regole d’ingaggio della coalizione di stati arabi e occidentali varata a metà settembre, per cui rimangono intatti tutti gli orientamenti particolari anche se tra loro incompatibili, ne sono un chiaro sintomo. Poiché, peraltro, gli equilibri mediorientali sono in ultima analisi equilibri mediterranei e dunque europei – basti pensare alla questione dell’immigrazione, che lo stato delle cose nel Levante aggrava ulteriormente – dovrebbe essere l’Unione Europea a impegnarsi direttamente nella risoluzione della crisi del Medio Oriente, dispiegando in modo univoco e unitario la propria forza, in primo luogo attraverso i canali della diplomazia. Infatti, solo ponendosi quale attore unico, trascendendo gli interessi geopolitici dei singoli membri, l’Unione avrebbe la forza necessaria a contribuire efficacemente al discorso diplomatico che, soprattutto, dovrebbe condurre alla normalizzazione delle relazioni tra paesi occidentali e Iran e, dunque, alla costruzione di un nuovo equilibrio geopolitico in Medio Oriente.
Gioventù Federalista Europea Firenze





lunedì 23 dicembre 2013

Conclusioni dell'Ufficio del Dibattito di Pescara del 23/12/2013.

L'ufficio del dibattito della sezione di Pescara, riunitasi il giorno 23 dicembre 2013, ha affrontato la questione della riforma dei trattati europei (con il contributo di Edoardo di Paolo) e la questione di una possibile vittoria delle forze più anti-europeiste alle elezioni del 2014 (contributo di Jacopo Barbati).

mercoledì 18 dicembre 2013

Conclusioni del dibattito tra la comunità ucraina e la GFE Genova del 15/12/2013

Riportiamo le conclusioni del dibattito, tenutosi a Genova il 15 dicembre 2013, tra la comunità ucraina locale e Walter Rapetti, segretario, e Marco Villa, responsabile all'UD.

"Domenica 15 dicembre, io (Walter Rapetti n.d.r.) e Marco Villa (responsabile dell'Ufficio del Dibattito per la nostra Sezione) abbiamo partecipato ad un incontro con la comunità ucraìna genovese.

Erano presenti circa 150 persone della comunità. 
L'incontro è avvenuto con traduzione simultanea da parte di un giovane della comunità, sebbene molti parlassero correntemente l'italiano. 

Dopo una breve introduzione da parte dei referenti della comunità locale, ho preso la parola cercando di spiegare l'origine del nostro Movimento, del processo che ha portato alla formazione della UE nei suoi vari passaggi storici, il suo scopo, i nostri principi ispiratori, le modalità di azione, ecc. Il mio intervento è durato 18 minuti. Poi è seguito un dibattito (ci sono state poste domande per poco più di 40 minuti) in cui ci è stato chiesto perché la UE si interessa all'Ucraìna, che cosa comporterebbe l'eventuale adesione all'Unione, di cosa parlava il trattato, come funziona l'Unione al suo interno, quali sarebbero i vantaggi per i cittadini, e altre domande simili.
Dopo l'evento è diventato più informale, con scambi di opinioni, interventi spontanei, proiezioni di video, traduzioni di notiziari (e lettere) dall'Ucraìna, con offerta di the e pasticcini alla fine.
Da notare che la comunità ucraìna di Genova è molto unita, caratterizzata da una forte appartenza religiosa e nazionale. Il sentimento patriottico e l'appartenenza religiosa sono un "collante" molto forte e sentito. 
Tre aneddoti per darvi un'idea: 
1) i loro eventi (compreso quello di ieri) iniziano e si concludono con la recitazione del Padre Nostro, seguito dal loro inno nazionale;
2) quando abbiamo chiesto chi è il capo, il riferimento, della comunità, ci è stato indicato il loro parroco, non il console d'Ucraìna che pur riesiede a Genova... 
3) fra le accuse che ha ricevuto la precedente premier Julija Tymošenko, che l'hanno portata alla caduta, una delle più sentite è stata quella "di non essere abbastanza religiosa".

Alcune considerazioni doverose da sapersi, confermate anche dalle conversazioni con gli ucraìni di ieri, e dei giorni scorsi.
1) salvo alcuni gruppi marginali (per lo più intellettuali e alcuni studenti universitari, perciò quasi irrilevanti) i manifestanti non sono in piazza per l'Europa, ma contro il governo autoritario di Yanukovich.
2) l'Europa - in senso lato - e la UE (in particolare) vengono vissuti come un simbolo, un esempio di democrazia, libertà e diritti in contrapposizione alla deriva autoritaria sia del presidente Yanukovich, che del "pesante" vicino russo.
3) il movimento di protesta è alquanto eterogeneo, vi sono:
- i manifestanti scesi in piazza contro la corruzione e l'inefficenza dilaganti nella burocrazia del Paese;
- gli studenti e gli intellettuali di cui s'è detto sopra, filo-europei
- gli autonomisti delle regioni confinanti con la Polonia, che non sono particolarmente filo-europei, ma sono anti-russi (più che altro, temono un rafforzamento del potere centrale e una diminuzione dell'autonomia locale e regionale)
- vi sono i sostenitori di Julija Tymošenko e del suo Partito (ormai sbandato), e quel poco che resta dell'eco della "Rivoluzione Arancione" dell'inverno 2004-2005
- con questi vi sono anche gli attivisti per i diritti umani (la ex-premier, invisa alla Russia, è tutt'ora in carcere dopo essere stata arrestata 3 anni fa nell'aula del Parlamento, e condannata in un processo giudicato "illegale e arbitrario" dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo) che chiedono la rimozione della censura sulla stampa e le comunicazioni (infatti molti ucraìni hanno timore a scrivere lettere o mail, per paura di essere intercettati dalle spie del presidente), oltre a una limitazione dell'uso della violenza da parte delle forze dell'ordine
- gruppi locali di cittadini della capitale, alcuni legati ad esponenti politici locali
- lavoratori salariati, che temono la perdita del potere d'acquisto dovuto al temuto aumento fiscale connesso all'aumento del debito (l'Ucraina importa gas dai suoi vicini, e ha problemi sulla bilancia commerciale)
4) tutto questo accade in una situazione di frazionamento del Paese, con radici storiche: è palpabile l'egemonia culturale che la cultura e la storia della Russia esercitano sull'Ucraìna. Esse sono forti, e incidono sia sui filo-russi (che guardano alla Russia come alla Patria da cui sono stati separati, e a cui sperano di tornare), sia sugli indipendentisti (che hanno lottato per l'indipendenza del Paese, e hanno paura di tornare sotto il potere di Mosca).
La divisione ha radici profonde: tendenzialmente gli abitanti delle regioni nord-occidentali del Paese sono filo-europei, mentre quelli sud-orientali sono filo-russi. Di solito, la divisione in questione ripercorre quella degli anni '80 e '90 tra indipendentisti e autonomisti (ove quelli che, attualmente, noi chiamiamo "filo-europei" spingevano per un'Ucraina indipendente da Mosca, uno Stato in tutto e per tutto; mentre quelli che, attualmente, chiamiamo "filo-russi", sostenevano un'autonomia regionale nel più ampio quadro della Federazione Russa).
Questa distinzione, a sua volta, si innesta sulla precedente frattura (che è stata molto sanguinosa e sofferta) fra "bianchi" e "rossi", dove gli "antenati storici" dei "filo-europei" erano anti-comunisti, mentre gli altri aderirono all'Armata Rossa e fondarono i primi Soviet locali.
Parallelamente a questo c'è, pesante, la questione religiosa. L'Ucraìna ha una propria chiesa nazionale, che segue il Rito Bizantino, ed è detta Chiesa greco-cattolica di Ucraìna. Agli occhi di un profano potrebbe sembrare una Chiesa ortodossa in tutto e per tutto (liturgia, tradizione, matrimonio dei sacerdoti, icone, duplice eucarestia, ecc), tuttavia è in comunione con Roma e non con Mosca, e riconosce dal 1595 il vescovo di Roma come proprio primate (al posto di quello di Costantinopoli).
Tale Chiesa raccoglie circa la metà dei fedeli del Paese, ed è stata molto perseguitata durante tutto il periodo della dominazione russa (i greco-cattolici erano visti come avversari della Rivoluzione, prima; come sobillatori secessionisti, dopo; come complottisti filo-europei, adesso). Tutt'ora non vi è mutuo riconoscimento con la Chiesa russa, e i rapporti col Patriarcato di Mosca sono estremamente tesi.
Noi potremmo liquidare la questione come secondaria, come una "semplice" lite ecclesiastica.
Da loro non è così.
E' una questione identitaria e politica molto forte, che è stata portata nel loro parlamento più volte (qualche mese fa, la più recente), ed è stato uno dei temi della visita di Putin al papa il mese scorso (Putin si presenta - in perfetto stile zarista - come il protettore della Chiesa Ortodossa Russa, e dei suoi fedeli sparsi per il mondo).

5) la conoscenza degli Ucraìni della storia, del funzionamento, delle istituzioni della UE è mediamente molto bassa. E lo è anche la conoscenza che hanno del trattato con l'Unione che Kiev avrebbe dovuto firmare. Pensate che la propaganda del regime ha dipinto il trattato (un comune accordo di libero scambio commerciale) come una "quasi annessione" dell'Ucraìna all'Unione, cavalcando così il sentimento nazionalista (che, come dicevo, è ancora straordinariamente forte).
Questa diceria, ovviamente assurda per noi, non lo è stata per il popolo, che teme di passare "da un padrone all'altro". Il presidente Yanukovich si è servito, in un primo tempo, di questa propaganda per compattare la fedeltà degli ambienti militari, e nel reclutamento di "provocatori" (più o meno come da noi, questo. Gli agenti del governo pagano delle persone che si infiltrano nella testa della manifestazione, provocano le forze dell'ordine, e poi si dileguano appena questi caricano i manifestanti - lo scopo, ovviamente, rimane quello di screditare i manifestanti e impaurirli).

Vi consiglio, quindi, di usare cautela se e quando contattate le vostre comunità locali, perché:
 1) non è detto che "siano dalla nostra parte"
 2) anche se lo sono, non è facile intuire subito a quale delle fazioni fanno riferimento, e qual'è la loro sensibilità
 3) come dicevo, vi sono diversi collanti, che si mescolano in diverso grado: ostilità alla Russia, voglia di cambiamento, nazionalismo, religione, paura economica, desiderio di democrazia e diritti, ecc
 4) non spaventateli. Meglio un approccio graduale. Ricordatevi che l'Ucraìna non è una democrazia, e che non è sempre facile esprimere contenuti politici pubblicamente (specie se critici, e in contrasto con l'opinione del governo...)
 5) attenzione a non avvalorare, indirettamente, la propaganda di regime. Il nostro dibattito è andato bene, perché siamo stati sempre attenti a dire "al primo posto noi mettiamo l'autodeterminazione dell'Ucraìna, e il rispetto dei diritti e della democrazia. Poi, autonomamente, deciderà che strada intraprendere..." e a ricordare la gradualità e la volontarietà del processo di integrazione europeo.

In conclusione, ritengo che queste persone abbiano un disperato bisogno dell'attenzione e della solidarietà degli europei. La chiedono, la cercano. Penso che sia nostro dovere dargliela, incontrarli, conoscerli, sostenere i loro sit-in di solidarietà. Facciamo in modo che se ne parli.
Credo sia un nostro dovere sia dal punto di vista umano (manifestano per il rispetto dei principi basilari di democrazia e libertà del loro Paese), che politico (l'Europa, pur con tutti i suoi limiti, viene presa a modello. Quale credibilità avrebbe se voltasse loro le spalle nel momento del bisogno?).
Se ci riusciremo, questo avrà anche una ricaduta positiva sulla percezione dell'Unione da parte dei nostri (sempre più disaffezionati) concittadini.

Per qualsiasi cosa (chiarimenti, informazioni, contatti), resto a vostra disposizione.
Un abbraccio a tutti, e buon lavoro!"


lunedì 16 dicembre 2013

Conclusioni dell'Ufficio del Dibattito della GFE Firenze del 28/11/13

Relazione scritta dell'Ufficio del Dibattito fiorentino, tenutosi il 28 novembre 2013. L'UD si è concentrato sui partiti euroscettici e anti-federalisti nei paesi UE. Ad animare il dibattito Alberto Giusti e Virginia Nencetti, con le loro relazioni introduttive.

Il dibattito successivo si è inizialmente incentrato su quali siano i rischi per le prossime elezioni europee e quali sono i motivi che spingono i cittadini ad abbracciare idee euroscettiche e nazionaliste. E' poi proseguito analizzando, di contro, i partiti europeisti, quali siano le loro posizioni e come si stanno preparando alla sfida del prossimo maggio.

I militanti fiorentini hanno concordato, infine, che la situazione è  critica e che i partiti "pro Europa" non si stanno impegnando a sufficienza. E' urgente un inversione di rotta e il Movimento Federalista Europeo deve cercare di essere decisivo, in modo particolare in Italia dove alcuni partiti si sono mostrati sensibili al tema e favorevoli all'idea degli Stati Uniti d'Europa.
Potete trovare la relazione dell'UD a questo link.

martedì 19 novembre 2013

giovedì 14 novembre 2013

Il Progetto di Trattato che istituisce l'Unione Europea: la battaglia democratica per la costruzione dell'Europa

"Il Progetto di Trattato che istituisce l'Unione Europea: la battaglia democratica per la costruzione dell'Europa"
Tesi di Laurea Triennale in Storia dell'integrazione europea, Università degli Studi di Firenze,
Anno Accademico 2011-2012.
Autrice: Giulia Chiama. Relatore: Prof. Massimiliano Guderzo.
Nota: potete trovare il testo integrale del trattato qui.

mercoledì 13 novembre 2013